Testi tratti dal Libro il FLORILEGIO di Paolo Michele EREDE

Filosofia Storia Umanologia

Ecologia della mente. Distopie e discronie

PREMESSA

 

L’Ecologia rappresenta il vero problema della nostra epoca.

Ne è testimonianza la problematica aperta a tutti i livelli, culturale, scientifico, sociopolitico su tutti i problemi dell’ambiente.

Esistono aspetti tecnici che consentono di valutare le possibilità che permetteranno all’uomo del futuro di sopravvivere all’inquinamento e allo stress.

Il fenomeno deve essere studiato a fondo con adeguate impostazioni scientifiche. Molto spesso, infatti, abbonda l’improvvisazione, talora la demagogia. Accanto ad un inquinamento atmosferico esiste un problema psicologico che riguarda il particolare tipo di vita urbana, l’uso e l’abuso della macchina, lo stress, il rapporto lavoro-riposo.

Le grandi città hanno dimostrato di rappresentare fattori di rischio per la salute fisica e mentale del cittadino.

Inoltre l’organizzazione urbana ha profondamente modificato le strutture familiari ed ha creato nuove forme di alienazione.

Si sono inoltre create nuove forme di aggressività. Erich Fromm aveva evidenziato nella “passione inconscia” dell’uomo di distruggere la natura una forma larvata di necrofilia, mentre la creazione della “mega macchina” tende a sfuggire al controllo dell’uomo e finisce per volgerglisi contro.

Pertanto la Fromm Foundation, anche in omaggio al pensiero del grande psicoanalista tedesco intende dibattere i problemi relativi all’ecologia fisica e mentale, approfondendo le posizioni più varie e dando spazio e voce a chi responsabilmente si oppone alla distruttività ambientale offrendo soluzioni serie e meditate.

La “Mentalità” ecologica si va sviluppando nelle più importanti nazioni europee ed extra europee. Così nelle Università di Zurigo, Monaco, Berna, Ghissen, Herisau, J. F. Kennedy, Long Island, ecc. stanno sorgendo dottorati in ecologia che in molti casi non si limitano alla parte “ingegneristica” pur presente, ma allargano la prospettiva alle condizioni umanologiche ed alle prospettive sociali.


(A cura della International Foundation “Erich Fromm”)

 

 

All’inizio del secolo XX due concezioni - diametralmente opposte - della società venivano ipotizzate da William Stern e da Gustave Le Bon; il primo sosteneva che il XX secolo sarebbe stato il secolo dell’“individuo”, il secondo sosteneva che sarebbe stato il secolo delle “masse”.

Le due concezioni in fase alterne si sono susseguite, ma certamente con una prevalenza della seconda attuata per l’impulso conferito dalla Rivoluzione d’Ottobre.

Attualmente sia all’Ovest sia all’Est acquista tutta la sua importanza il valore di individuo e particolarmente dopo l’anno celebrativo della Rivoluzione Francese questo termine riprende significato su vasta scala. Infatti si riesamina l’iter che ha condotto alla dichiarazione dei “diritti dell’uomo” partendo dal movimento illuminista - per lungo tempo trascurato - che già nel 1984 nelle celebrazioni del bicentenario della morte di Diderot aveva suscitato nuovo interesse.

D’altra parte, culture differenti - ispirate ad opposte ideologie sociali, comportamentali, etiche - avevano relegato il discorso illuminista in angoli della “Patria” e di alcuni pochi salotti.

Razionalismo, autonomia del pensiero, fuga dai dogmi, libera circolazione delle idee, valori individuali per eccellenza opponevano necessariamente il concetto di individuo “incoercibile” a quello di massa “coercibile”.

L’uomo-individuo (rivalutato e separato dagli aspetti negativi dell’individualismo solipsistico, egoistico, economico), cui si riconsegna il merito della personalità, dell’identità culturale e creativa ed il diritto all’autonomia per svolgere compiutamente il suo ruolo nell’ambito della società ha necessità di sentirsi tale e di avere il suo “ubi consistam”.

Infatti, secondo E. Fromm, sono irrinunciabili:

1. il bisogno di relazione,

2. il bisogno di trascendenza (che porta l’uomo ad elevarsi dagli istinti per raggiungere una posizione non di distruzione, ma di creazione),

3. il bisogno di radicamento,

4. il bisogno di identità,

5. il bisogno di riferimento.

In questo senso si evidenzia che il messaggio di E. Fromm è completo e pone l’uomo-individuo al centro del discorso nei rapporti spazio-temporali con l’ambiente umano e naturale che lo circonda; ne deriva uno stretto rapporto fra ecologia umana ed ecologia naturale.

L’esplosione demografica, le conseguenze della tecnologia moderna, la distruzione progressiva dell’ambiente sono i maggiori fenomeni che minacciano l’equilibrio del pianeta e le condizioni di esistenza del genere umano; ma questa situazione appare sempre più aggravarsi nelle città che rappresentano i centri propulsori della società, polo di attività materiale e spirituale, simbolo del livello di civiltà di ogni nazione.

Nel mondo contemporaneo la città occupa un posto privilegiato e - certamente - monopolizza la gran parte delle forze vitali e occupazionali, ragione per cui esercita un’attrazione irresistibile sulle popolazioni extraurbane (basti pensare ai massicci trasferimenti delle popolazioni rurali con conseguenze negative per la natura, per l’agricoltura, per la zootecnia, ecc...).

Contemporaneamente la città presenta la crisi di crescita rapida e sproporzionata alle sue risorse con gravi disfunzioni e insufficienze.

Modello privilegiato della civiltà tecnologica moderna, la città rappresenta tutte le contraddizioni; alle sue ricchezze intese come risorse, ai suoi mezzi di comunicazione, alle sue risorse occupazionali nell’industria e nel terziario, si oppone - quindi - la sovrappopolazione, il gigantismo disumano, l’esacerbazione delle disuguaglianze sociali con confronti esasperanti, l’avvelenamento generale, la perdita di rapporto con l’ambiente naturale, condizioni di lavoro alienanti, il caos della circolazione.

Ne consegue che la città, un tempo centro propulsivo e di raccolta della maggior parte delle attività in armonia con la natura, è - così - diventata invadente rompendo l’equilibrio con lo spazio interno ed esterno ed assumendo un aspetto distruttivo della sua realtà.

Il rapporto del cittadino con il centro urbano è un rapporto effimero, discontinuo, artificiale.

Il centro della città, sempre più “City”, destinato a riempirsi di giorno e a vuotarsi di notte, concentra uffici e magazzini; all’esterno della city la popolazione è compressa in spazi sempre più angusti con circolazione quasi impossibile ed all’esterno ancora di questa cerchia da centri abitativi satelliti alternati a spazi da abitazioni improvvisate e provvisorie degli immigrati dal difficilissimo inserimento.

Le cities sempre più eguali in ogni parte del mondo e sempre più “disumanizzate” paiono di notte e nei giorni di riposo lavorativo come spettri, costruzioni fredde ed alienanti che comportano passaggio da un ritmo di vita frenetico ad un vuoto gelido e deprimente.

L’artificialità, l’agitazione del centro della città, l’anonimato di una folla che ha sempre premura e che sempre è in forte tensione emotiva e l’inquinamento acustico fanno sì che l’individuo sia “stordito” in mezzo ad un ambiente estraneo ed aggressivo e che si senta perduto in una città che non riconosce più.

Per modi di vivere, abitudini e ritmi la città perde la “dimensione umana” e non è più a “misura d’uomo” e, oltre tutto, rompe con il suo “passato”.

Monumenti, testimonianze della storia, si degradano o a volte si cancellano.

La necessità di adattare la città alle future esigenze abitative, industriali e dei servizi la sfigura e la deforma con ripercussioni sullo stato psichico degli abitanti (psicosi del disordine e dell’inquietudine).

L’immagine del cittadino afflitto, isolato, è la stessa dei cittadini del mondo contemporaneo, vittime delle conseguenze di uno sviluppo scientifico e tecnologico non armonizzato con le possibilità di adattamento dell’uomo.

Le turbe mentali appaiono così come le conseguenze più gravi della vita in città, è praticamente impossibile tracciare le frontiere fra la malattia mentale, lo squilibrio psichico e la tensione nervosa.

Le affezioni più note sono quelle definite “turbe dell’equilibrio psico-affettivo” legate principalmente ad una insicurezza affettiva.

L’aggravamento di queste turbe è l’origine di fenomeni psichici ben conosciuti come la psicosi, la depressione, la tossicomania e la delinquenza giovanile. L’angoscia che tanta parte ha nel determinare turbe psicosomatiche è sempre più legata al ritmo estenuante dello sviluppo del mondo esterno, alla perdita della autonomia individuale, all’aggressività generale dell’ambiente ed alla crescente pressione di complesse strutture socio-economiche.

Sempre più la frequenza dei ritmi di vita circostanti l’individuo è sfasata con i bioritmi per cui si verifica “discronia” così come la densità abitativa e l’utilizzazione paradossale degli spazi è “distopia”.

Distopia e discronia ostacolano l’uomo nei suoi rapporti spazio-temporali inibendogli di pensare, di creare il pabulum per le proprie esigenze di rapporto con sé (meditazione, riflessione) e col mondo che lo circonda.

Queste irrazionali variazioni di spazio e di tempo causano insufficienza nella vita di relazione, nel bisogno di riferimento, nel bisogno di identità e nel bisogno di radicamento giacché l’individuo non può trovarsi in un contesto sociale stabile e coerente, non può facilmente riconoscersi e sentirsi riconosciuto nella propria individualità e nella propria specificità e non può sentirsi parte integrante della natura e del contesto in cui vive, ma, soprattutto, avrà difficoltà sempre maggiore nella libera espressione della sua creatività che lo spingerà alla spersonalizzazione ed alla dipendenza inesorabile dal contesto.

L’analisi dei fatti e delle conseguenze - se realistica - è certamente impietosa e viene talvolta superficialmente rifiutata per quella esigenza autoconsolatoria che per autoprotezione conduce alla riduzione o minimizzazione dei fatti e naturalmente attinge alla grande riserva “della speranza”.

Fra le conseguenze meno evidenti ma più negative vi è questa mancanza del tempo di pensare ovvero questo “pensiero interrotto” dalla distrazione continua dei fatti individuali e delle informazioni che giungono all’uomo in forma disordinata con impulsi visivi e sonori di ogni tipo che si intersecano reciprocamente portando alla confusione delle idee e quindi incidendo sull’efficienza nel lavoro e sull’attuazione dei programmi; tale fenomeno individuale nell’aggregazione assume l’aspetto di fenomeno sociale (società irrazionale).

L’umanesimo moderno è un prodotto di valori della modernità, è terreno di contraddizioni, tensioni e alienazioni; l’uomo è umiliato anche nel rapporto-confronto con la macchina.

Oggi parte dei suoi comportamenti nevrotici, del suo impoverimento interiore derivano dallo squilibrio fra natura ed artificio. La condizione dell’uomo-macchina non può dare origine ad alcun giudizio giacché è una realtà.

Ed ogni morale è incongrua perché è proprio dell’uomo-macchina non averne alcuna. L’era dell’uomo-macchina è - quindi - caratterizzata dalla minaccia della tecnica - divenuta incontrollabile - sull’individuo. D’altra parte,dall’avvento della cibernetica le informazioni si susseguono con ritmi impressionanti e in questa materializzazione tecnica il ruolo dell’immagine animata è sempre più importante. L’uomo è sollecitato ad interpretare la vita come rappresentazione; le vecchie singole e statiche immagini non influenzano le relazioni fra l’individuo e la realtà e non modificano la sua identità. L’uomo coglie l’immagine animata che gli offre il mondo e che gli propone di consumarla e infatti è più ricco di immagini artificiali che di quelle provenienti dalla sua propria esperienza.

La finzione diviene il suo modo di pensare e la sua dichiarazione d’identità.

Queste immagini animate l’invitano a vivere situazioni falsate ed a pensare tutto - compreso se stesso - come una finzione o come un oggetto di consumo.

Quindi la vita culturale di questa epoca si snatura e assume l’aspetto del consumo e del cambiamento ininterrotto ed è accompagnata dal dubbio e dal malessere.

L’individuo della modernità è afflitto dall’informazione: più assorbe, più domanda, più riceve, il suo bisogno è insaziabile e passivo. Non sa avere limiti giacché i continui ritrovati sono lo stimolo a questo consumismo con conseguenti effetti economici, sociali, psicologici talvolta violenti e incontrollabili.

L’assenza di continuità, estensione, persistenza dei pensieri, tipica di molte condizioni esistenziali né spontanee né originali, si traduce in un rapporto negativo fra l’uomo e il mondo che lo circonda.

Il significato negativo di questa condizione si realizza nella bipolarità ordine-disordine.

La causa del discontinuo e del frammentario è scontro - quasi agonistico - di un ordine esteriore (logico, estetico, istituzionale, ideologico) con l’indifferenza che scaturisce per reazione dall’ “homo consumens”.

Quest’uomo che si consuma consumando smisuratamente, che si isola pur comunicando ad oltranza, è destinato all’anonimato e all’ombra. L’anonimato dipende dalla spersonalizzazione, dalla dislocazione del tessuto sociale e dalla reciproca ignoranza individuo-società.

Al di là delle possibili amnesie, l’uomo fruisce della “scoperta permanente” ed ha la confusa sensazione di non poter più controllare gli avvenimenti (sovraccarico del nuovo), il che è causa dei limiti - per non dire fallimenti - delle grandi ideologie.

In quest’epoca ove ideali ed ideologie tradizionali tramontano, l’uomo cerca freneticamente nuovi modelli di vita che derivano dall’evoluzione tecnologica, dalla scoperta permanente, dai consumi e dalla finzione. Una delle caratteristiche della società dell’idolatria dei consumi è l’accantonamento del passato per cui il ricordo di “ieri” appare insopportabile e l’esistenza di “ieri” impensabile.

Le contraddizioni fra ciò che ci è stato trasmesso e le esigenze della civilizzazione tecnica creano - quindi - scompiglio distruttivo in tutti i settori.

Ciò spiega la grande fragilità psichica degli individui e della collettività del nostro tempo, le loro frustrazioni spirituali e materiali, le loro difficoltà a vivere in modo che sia reale.

Le varie trasgressioni sono espressioni anche tragiche di questa condizione di vita ed evidenziano il carattere patologico della nostra società. La supervalutazione del tempo è una componente essenziale dei processi di assoggettamento e di annullamento. L’individuo vi fonda la sua identità intangibile e la sua crisi, il suo appartarsi e la sua inconsistenza e questa è una delle cause della sua difficoltà a realizzarsi.

Il fenomeno di derealizzazione è all’origine della crisi di identità, della fragilità psichica e dell’indebolimento dell’istinto di conservazione. Per questo motivo non si deve mai dimenticare il “sé” autonomo e la “psiche pura”. Non si deve considerare l’uomo come semplice strumento di adattamento. Infatti, non può apparire benessere psichico o condizione ecologica della mente la normalità di ciò che invece comporta rinunce (vedi adattamento economico, sociale, ambientale, lavorativo, abitativo, ideologicopolitico ecc...) giacché adattamento non è autonoma scelta ma è passività.

Nelle relazioni con l’ambiente si deve quindi prevedere in teoria tanto una relazione di “accettazione” quanto una di “affermazione” e/o “dominio”.

La psicologia è parte della biologia e della sociologia, ma non è solamente questo in quanto ha egualmente il suo spazio in quella parte della psiche che non è né un “riflesso” né uno “stampo” del mondo esteriore. Ma che fare per difendere - nei limiti del possibile - la salute psichica?

Autonomia di pensiero, affermazione dell’esigenza di “superamento” dell’ambiente, indipendenza da questo e, - secondo i casi - attitudine a resistergli, a combatterlo, a ignorarlo, a trascurarlo, a rifiutare di adattarvisi: stimolo, quindi, alla creatività, recupero di un istinto vitale creativo.

Ma il fenomeno individuale dà segnali di trasformarsi in sociale e/o collettivo o di massa là dove alla spersonalizzazione, alla banalizzazione, all’esasperato e ripetitivo convenzionalismo di una vita che “annoia” si reagisce col recupero di valori che in una illusione di libertà - per così dire - liberatoria sono stati allontanati e per la stessa esigenza di libertà vengono riproposti.

La riscoperta delle proprie radici dell’individuo e della società, la ripresa di memoria del singolo e dei molti, la memoria del lontano, ripropone modelli di vita più armoniosi con la natura e con l’ambiente, modelli per la città dell’uomo e per la città del pensiero alla ricerca della continuità fra passato e futuro e nella naturale dimensione del tempo che è il vero senso della vita.

Quindi la città e la macchina, che hanno progressivamente allontanato l’uomo dalla natura sostituendosi nel rapporto con questa, costituiscono l’aspetto più caratteristico di questo tempo e si affrontano in una interazione specifica che coinvolge l’ambiente di relazione e lo spazio di percezione (anche sociale). Una continua, avvolgente, indistricabile trama meccanica interferisce nella relazione uomo-ambiente le cui conseguenze sono sempre più evidenti via via che si affina e si stringe il rapporto dell’uomo con la macchina sino a farlo giungere ad una dipendenza che si trasforma in una vera e propria schiavitù (sadismo delle macchine).

Nel rapporto uomo-città-natura lo sviluppo sociale si identifica nello sviluppo tecnologico e la tecnologia impone le sue leggi alle nuove forme dell’architettura e l’architettura pretende di sostituire le sue strutture artificiali a quelle naturali dell’intero ambiente fisico.

“Ma l’a priori tecnologico è un a priori politico, in quanto la trasformazione della natura implica quella dell’uomo e in quanto le creazioni dell’uomo escono da un insieme sociale e in esso rientrano.”

È evidente che per una ecologia della mente è, così, necessario modificare radicalmente il modello culturale che ci ha condotto a questo processo di alienazione causato dalla destoricizzazione dei bisogni umani.

Non è quindi una valutazione puramente geometrica e/o architettonica e tecnologica a restituire il corretto rapporto uomo-natura ma è la ripresa di memoria delle molte abitudini perdute che derivano dalle reali necessità naturali.

Fra il “Principio speranza” di Ernst Bloch e il “Principio disperazione” di Gunther Anders sta la via del “Principio di responsabilità” di Hans Jonas che propone un modello unitario di etica universalistica e realismo politico ove tra il “non ancora” e il “non più”, fra “utopia” e “nichilismo” vi è l’irrinunciabile: “il già sempre stato” nella storia dell’umanità.

 

 

Senso dei limiti:

individuale,collettivo

 

Senso di responsabilità:

individuale, collettivo

 

Equilibrio uomo-natura

 

Rispetto di sé:

consapevolezza della soggettività, consapevolezza della libertà, accettazione della propria responsabilità

 

Estrinsecazione di sé:

si agisce con coerenza, si opera secondo le proprie convinzioni, si ammettono o si riconoscono le proprie azioni

 

 

PAROLE CHIAVE

Distopia

Discronia

Pensiero interrotto

Psicosi del disordine e dell’inquietudine

Società irrazionale

Discontinuo-frammentario

Homo consumens

Derealizzazione

Assoggettamento-annullamento

Accettazione-affermazione

Sadismo delle macchine

Alienazione-destoricizzazione

 

 

MODELLI CITTÀ

A) Città a tappeto (es. Los Angeles)

B) Città galattica (es. Londra)

C) Città monocentrica (es. Parigi)

D) Città stellare (es. Copenaghen)

E) Città ad anello (es. Amsterdam)

F) Città lineare (es. Genova-Sampierdarena-Savona)

1) Città con pianta a reticolo (ippodamica)

2) Città con pianta radiocentrica

3) Città con pianta mista

 

 

RAPPRESENTAZIONE DELLA CITTÀ IRRAZIONALE

Artisti:

Carlo Carrà

Giorgio De Chirico

James Ensor

Max Ernest

Lyonel Feininger

Alberto Giacometti

Edward Hopper

Paul Klee

Alfred Kubin

Franz Kupka

Fernand Leger

Lazar Lissitzky

Reinhol Nagele

Charles Sheeler

Mario Sironi

Lorenzo Vespignani

.

 

L’Aurora

 

L’aurora di New York ha

quattro colonne di fango

e un uragano di negre colombe

che guazzano nelle acque putride.

 

L’aurora di New York geme

sulle immense scale

cercando fra le lische

tuberose di angoscia disegnata.

 

L’aurora viene e nessuno la riceve in bocca

perché non c’è domani né speranza possibile.

A volte le monete in sciami furiosi

trapassano e divorano bambini abbandonati.

 

I primi che escono capiscono con le loro ossa

che non vi saranno paradiso né amori sfogliati;

sanno che vanno nel fango di numeri e di leggi

né giuochi senz’arte, in sudori infruttuosi.

 

La luce è sepolta con catene e rumori

in impudica sfida di scienza senza radici.

Nei sobborghi c’è gente che vacilla insonne

appena uscita da un naufragio di sangue.

 

Federico Garcia Lorca