Quaderni della Fondazione Professor Paolo Michele Erede a cura di Michele Marsonet

Quaderno N. 1 – 2008. “I Problemi della Società Multietnica”
Numero monografico dedicato agli elaborati vincitori della Prima Edizione del Premio Professor Paolo Michele Erede

Carlo Calcagno - Circoncisione rituale nella società occidentale: una sfida multiculturale.

Vincitore del Quarto Premio (Ex.Aequo)

1.    Introduzione

Con il termine circoncisione ( dal lat. circum , intorno, e caedere , ta­gliare) si intende, in senso stretto, l’escissione parziale o totale del prepuzio nel maschio. Si può ricondurre la circoncisione a tre tipi fondamentali. Il primo tipo di circoncisione viene eseguita per mo­tivi religiosi, come rito di passaggio o iniziazione in età neonatale o prepuberale ed è definita circoncisione rituale. Il secondo tipo è pra­ticato per motivi di profilassi medica contro potenziali malattie fu­ture ed è definita circoncisione di routine o profilattica. Il terzo e ul­timo tipo di circoncisione trova la sua indicazione in patologie con­clamate in atto a carico del prepuzio e si definisce circoncisione te­rapeutica.

La circoncisione, per qualunque motivo eseguita, può essere consi­derata la più antica procedura chirurgica nella storia dell’umanità ma anche la più controversa come sostiene David Gollaher nel titolo del suo libro “Circumcision. A history of the world’s most controversial surgery”. Infatti, se nel caso della circoncisione terapeutica non esi­stono sostanzialmente controversie al riguardo se non in ambito strettamente medico-chirurgico, per la circoncisione profilattica e quella rituale la situazione risulta più complessa e riguarda una sfera ben più ampia di quella medica.

La cosiddetta circoncisione “profilattica” o di “routine” nasce nel XIX secolo, quando l’etiologia della maggior parte delle malattie era sconosciuta. Come scrive Edward Wallerstein “entro il miasma del mito e dell’ignoranza, emerge la teoria che la masturbazione causa molte e varie affezioni. Sembrò logico ad alcuni medici praticare la chirurgia genitale su entrambi i sessi per interrompere la masturba­zione; la principale tecnica applicata ai maschi era la circoncisione. Questo era vero specialmente nei paesi di lingua inglese poiché si accordava con l’atteggiamento dell’età medio vittoriana verso il sesso, considerato come peccaminoso e debilitante”. La morale pu­ritana e la società sessuofobica dell’epoca quindi costituirono il clima culturale e sociale dove nacque e si diffuse nella seconda metà dell’Ottocento la circoncisione profilattica nei paesi di lingua in­glese: Regno Unito, Canada, Australia, Nuova Zelanda e Stati Uniti. Mentre nei primi quattro paesi citati però, la pratica della circonci­sione crebbe e declinò con l’acquisizione di maggiori conoscenze mediche che ne spazzarono via le discutibili indicazioni, negli Stati Uniti la percentuale di maschi circoncisi crebbe progressivamente. Nel 1860 nelle città del Nord-Est tale percentuale era 0,01; nel 1900 tale cifra saliva al 25% per arrivare nel 1971 al 90%, facendo definire ad Edward Wallerstein la circoncisione come “il singolare enigma medico americano”. Ma, verso gli anni trenta del XX secolo, il razio­nale della prevenzione della masturbazione, con il progredire delle conoscenze mediche, venne messo in discussione e, successiva­mente, discreditato. Il testimone della circoncisione profilattica al­lora fu impugnato dalla prevenzione e dalla lotta al cancro. Attra­verso l’ossessione per l’igiene, si cominciò a suggerire ed indicare la circoncisione come misura preventiva del cancro del pene. Successi­vamente il razionale per la circoncisione profilattica fu rappresen­tato dalla prevenzione delle infezioni urinarie in età pediatrica e, oggi, dalla lotta all’AIDS.

Come è stato possibile che una chirurgia rituale, spesso tribale, che affonda le sue radici nelle ere preistoriche, sia entrata pienamente nella pratica medica quotidiana statunitense e si sia radicata così saldamente nell’immaginario del popolo americano? E perchè tale operazione, i cui benefici sono ancora oggetto di ampio e rovente dibattito, è sopravvissuta nell’America odierna e rappresenta una pietra miliare nella cultura americana? Ma, se il tentativo di rispon­dere a queste domande va al di là dei limiti della presente tratta­zione, la circoncisione rituale praticata nella società occidentale dalle minoranze etniche ivi migrate e le problematiche da essa innescate pongono nuovi quesiti sul piano medico-legale, sociale ed econo­mico e rappresentano un’autentica sfida multiculturale per la nostra società. Ad essa sarà dedicato il presente lavoro.

2.    Circoncisione rituale

L’origine della pratica della circoncisione è sconosciuta e su tale tema non vi è accordo tra gli antropologi. Certamente il costume della circoncisione rituale maschile ha conosciuto una larghissima diffusione e si può dire, in sintesi generale, che si presenta in tutte le culture ad eccezione delle civiltà del gruppo linguistico indogerma­nico e di quelle asiatiche superiori non semitiche. Tale diffusione rende impossibile ricondurre ad un’unica e soddisfacente spiega­zione la pratica della circoncisione.

Estremamente variabili sono l’età in cui viene praticata la circonci­sione rituale, le modalità e i luoghi della stessa, il destino del prepu­zio escisso così come varia la figura e la funzione del circoncisore.

Tra i motivi più frequentemente addotti per spiegare il significato della circoncisione rituale vi sono l’igiene, la preparazione alla vita sessuale, il rito di passaggio e di iniziazione all’età adulta e di ap­partenenza alla tribù, l’adesione ad una convinzione religiosa. Quest’ultima riguarda due tra le religioni monoteiste, l’ebraismo e l’islamismo. Se nella Bibbia il riferimento alla circoncisione come patto di sangue, come alleanza tra Dio e il popolo ebraico è ripetuto a partire dalla Genesi, non vi è alcun accenno alla circoncisione nel Corano. Nelle società islamiche la pratica viene attribuita al profeta Maometto e, in tale veste, la circoncisione ha assunto il carattere di Sunnah, ovvero la tradizione del profeta. Viene inoltre riconosciuta nella hadith (detti ed azioni del Profeta). Il più comune hadith attri­buito al Profeta comprende la circoncisione, citata sotto il titolo di Tahara ovvero pulizia o purificazione, in una lista di pratiche cono­sciute come fitrah, sorta di religione naturale. “Cinque cose sono fi­trah: la circoncisione, il taglio dei baffi, il taglio delle unghie, la de­pilazione delle ascelle, la rasatura dei peli pubici”.

La circoncisione eseguita con rito ebraico e musulmano, pur con ca­ratteristiche e finalità differenti, rappresenta per la crescente diffu­sione delle popolazioni islamiche nella società occidentale e per le profonde radici della civiltà ebraica in occidente una forte sfida culturale sia per entità numerica del fenomeno sia per le tematiche in essa coinvolte.

3.    Circoncisione rituale nella società occidentale

Non c’è dubbio che la circoncisione rituale rappresenti per gli isla­mici e per gli ebrei, oltre che un segno di adesione religiosa, un forte simbolo di appartenenza e di identità.

L’intreccio inestricabile, ad esempio, tra circoncisione ed identità ebraica è reale ed ogni sfida alla circoncisione nel corso della storia è stata ed è vissuta, consapevolmente o meno, come un attentato all’essere ebreo, come un tentativo di cancellazione dell’identità ebraica. Gli Ebrei tentarono di conservare questo rituale circonci­dendo i neonati perfino sui carri bestiame diretti ad Auschwitz.

Ora, lo sforzo che dobbiamo compiere è quello di trasferire la pratica della circoncisione rituale con tutto il suo carico simbolico e prati­cata in una cultura e in una società ad essa favorevole, alla società di tipo occidentale dei nostri giorni.

La prima questione che può essere presa in esame riguarda la parte medica inerente alla circoncisione eseguita per motivi rituali. La cir­concisione rituale, che ai fini della nostra trattazione definiremo a questo punto circoncisione non terapeutica, rappresenta agli occhi di un medico occidentale una mutilazione genitale per il bambino ed una aperta violazione del fondamentale comandamento della pra­tica medica: “primum non nocere”. In altre parole, si tratta di un atto medico senza finalità terapeutica.

La seconda questione riguarda i diritti individuali del bambino. La circoncisione non terapeutica modifica irreversibilmente una certa parte del corpo del bambino influenzandone la futura vita sessuale. L’integrità psico-fisica del bambino viene in questo modo alterata senza motivazione medica e, ovviamente trattandosi di minore, senza il consenso del diretto interessato. Nello stesso tempo impe­dire o proibire la circoncisione può condurre il bambino e la sua fa­miglia ai margini della propria comunità.

Terzo ed ultimo punto della controversia, i diritti costituzionali dei genitori ma anche la natura della famiglia, la libertà di religione e il diritto alla privacy.

Cercherò di sviluppare questi tre punti che si fondano sulla trian­golazione bambino-genitori-medico e sul peso che fattori culturali, sociali e famigliari rappresentano nella valutazione giuridica della circoncisione non terapeutica praticata nella società occidentale.

Il primo punto, abbiamo detto, è strettamente medico. Su iniziativa della Regione Piemonte, si è dato l’avvio l’anno scorso alla circonci­sione rituale per bambini musulmani in ambito ospedaliero in re­gime di day-surgery. La sperimentazione ha sollevato, come preve­dibile, polemiche sul piano politico ma ha , nel contempo, diviso i medici interessati portando all’obiezione di coscienza l’80% dei sa­nitari. La maggior parte dei medici torinesi si è appellata quindi all’impossibilità per un medico sul piano deontologico e morale in un senso più ampio di sottoporre un paziente ad un qualsivoglia trattamento senza finalità medica ovvero senza lo scopo di conser­vare o ripristinare lo stato di salute dello stesso. In aggiunta a queste considerazioni deontologiche, la circoncisione, come ogni altro atto chirurgico, può comportare complicazioni di vario grado sia intra che post-operatorie (fino alla morte del paziente) e sequele a lungo termine sul piano funzionale ed estetico. Gli obbiettori torinesi con­siderano pertanto la circoncisione non terapeutica alla stregua di una mutilazione e chi la esegue suscettibile di essere accusato di abuso di minore. La modificazione irreversibile dei genitali e il do­lore fisico sopportato dal bambino costituiscono lesioni definitive, non rimediabili a differenza di altri campi decisionali a carico della famiglia come ad esempio l’orientamento educativo dove il danno può essere ritenuto reversibile e rimediabile. Nello stesso tempo però, la Regione Piemonte con la sua iniziativa ha valutato la circon­cisione non terapeutica praticabile allo scopo di migliorare l’integrazione delle minoranze etniche. Da una parte, quindi, il ri­spetto e l’aderenza alla deontologia medica, dall’altra la volontà di integrazione, non sempre facilmente riscontrabile, delle minoranze etniche da parte delle nostre società. A questo proposito vale la pena citare la posizione della British Medical Association (BMA) che, ope­rando una distinzione tra circoncisione terapeutica, praticata per trattare un problema medico, e circoncisione non terapeutica, prati­cata per ogni altro motivo che non sia un beneficio medico, risulta più articolata e meno netta rispetto ad altre associazioni mediche e dedica alla circoncisione non terapeutica un piccolo paragrafo dove afferma che la circoncisione ad esclusivo scopo preventivo e tanto meno quella a carattere rituale non siano giustificate in modo auto­matico dal consenso dei genitori: infatti l’evidenza concernente il beneficio in termini di salute derivante dalla circoncisione preven­tiva risulta insufficiente per giustificarne, da sola, l’esecuzione. Ap­pellandosi ai principi di buona pratica medica, la BMA indica che i medici devono utilizzare le loro capacità nel promuovere l’interesse del paziente; essi devono agire entro i confini della legge e della loro coscienza e valutare il peso dei benefici e dei rischi della circonci­sione per ogni specifico bambino. Per ciò che riguarda la circonci­sione non terapeutica il comitato etico della BMA asserisce: “La cir­concisione non è fondata su statuto, comunque la revisione giudizia­ria assume che, stante il consenso di entrambi i genitori, la circonci­sione non terapeutica è legale”. Poche righe dopo afferma: “A di­spetto dell’assunzione della legge comune che, fornito il consenso di entrambi i genitori, la procedura sia legale, questa non è considerata incontrovertibile ed è stata sfidata da qualcuno”. Il paragrafo fa rife­rimento esplicito all’intenso dibattito insorto sulle motivazioni eti­che della circoncisione non terapeutica ed il lavoro apparso su “Law, Ethics and Medicine” nel 2005. In tale lavoro gli Autori (Fox e Thomson) sostengono che “in assenza di inequivocabile evidenza di beneficio sul piano medico, sia eticamente inappropriato sottoporre un bambino ai rischi riconosciuti della circoncisione. Avendo rag­giunto questa posizione, il consenso emergente, attraverso il quale la scelta dei genitori appare dominante, risulta indifendibile; né, dati i principi emergenti e la pratica che governa le decisioni in campo medico, riguardo i bambini, non c’è nessuna autorità legale convin­cente che possa affermare che tale pratica sia legale”. Già nel 2003 però, prima della revisione della BMA del 2006, Benatar e Benatar avevano sollevato la questione affermando che “la circoncisione non terapeutica dei bambini è materia adatta alla discrezionalità dei ge­nitori”… “i fattori religiosi e culturali, sebbene sottoposti preferen­zialmente a valutazione critica, possono giocare un ruolo”. Queste affermazioni hanno innescato una furiosa polemica nell’ambito bio­etico evidenziata sui lavori apparsi sull’“American Journal of Bioe­thics” soprattutto da parte dei difensori dei diritti del bambino. Ste­ven Svoboda, sulla stessa rivista, replica che “ i medici non possono agire come “cultural brokers” in quanto la circoncisione non tera­peutica non è eticamente e culturalmente una pratica neutra suscet­tibile di essere lasciata al capriccio dei genitori, ma piuttosto una violazione di numerosi principi centrali della medicina, dell’etica, della legge e dei diritti” . In conclusione, la BMA afferma che il mi­glior interesse del paziente deve guidare l’operato dei medici; sotto­linea l’importanza del punto di vista del bambino, anche se in mi­nore età; stabilisce la non validità della volontà dei genitori come unica motivazione per la circoncisione; inquadra le motivazioni dei genitori all’interno di una valutazione in termini di miglior interesse del bambino; ritiene importanti lo stile di vita ed una corretta edu­cazione e li considera fattori di valutazione ai fini della decisione.

A questo punto prendiamo in considerazione i diritti individuali del bambino. Le posizioni articolate della BMA e il relativo dibattito in campo bioetico hanno evidenziato, a mio avviso, un aspetto fonda­mentale della questione ovvero che cosa si intende per interesse mi­gliore del bambino? Si deve indicare per tale l’aderenza culturale identitaria al proprio gruppo etnico sancita dalla circoncisione non terapeutica pena, magari, l’esclusione dal proprio ambito culturale e religioso o, invece, la salvaguardia dei diritti del bambino come in­dividuo, l’integrità fisica del quale ne costituisce parte integrante? Un bambino nasce prima di tutto ebreo o musulmano o apparte­nente a qualsivoglia credo religioso o nasce come individuo irripeti­bile nella sua unicità e possessore, in quanto tale, di diritti inaliena­bili? In poche parole va dato maggior peso ai contingenti fattori culturali, religiosi, etnici ed alla loro ripercussione sullo sviluppo del bambino o va salvaguardato il principio, astraendo dai fattori conte­stuali, dell’intangibilità dei diritti individuali? La circoncisione ri­tuale, se ritenuta una mutilazione, va considerata come non nego­ziabile rispetto ai relativi valori culturali e religiosi? La connotazione decisamente negativa data, nell’articolo già citato, da Svoboda al termine “mediatori culturali” forse non è giustificata in quanto il medico si trova realmente a mediare in questi casi tra esigenze in­conciliabili fra loro compreso il proprio fondamentale comanda­mento della pratica medica “primum non nocere” e qualunque possa essere la sua scelta, anche di obiezione di coscienza, essa sarà sempre comunque gravida di conseguenze per il futuro del bam­bino. Il medico spesso media nel difficile processo decisionale da parte di famiglie straniere provenienti da civiltà dove i diritti indi­viduali non sono riconosciuti e dove spesso non esiste separazione tra Stato e Chiesa e li aiuta in una non semplice transizione verso una società basata sull’autonomia e sul rispetto dei diritti indivi­duali. La mediazione culturale non dovrebbe essere , però, a senso unico come accade ad esempio negli Stati Uniti. In questo paese la circoncisione neonatale viene, infatti, consigliata a famiglie prove­nienti da culture che praticano la circoncisione rituale come segno di appartenenza ad un credo religioso allo scopo di integrarle nella so­cietà americana, ma, allo stesso tempo, la circoncisione viene offerta a famiglie provenienti da culture non praticanti la circoncisione come portatrice di beneficio sul piano medico non rispettandone così l’identità culturale.

Terzo ed ultimo punto focale della questione sono, come abbiamo già detto, i diritti costituzionali dei genitori, la natura della famiglia, la libertà di religione, il diritto alla privacy.

La questione dei diritti costituzionali dei genitori può essere rias­sunta con una domanda: un genitore ha il potere legale per consen­tire una procedura chirurgica che non ha motivazione medica? E, invertendo i termini del problema, ha il diritto di negare per motivi religiosi cure mediche ritenute indispensabili per la salute del bam­bino? Per ciò che riguarda la libertà di religione, il quesito si può riassumere: se lo Stato considera la circoncisione neonatale e rituale una mutilazione e quindi perseguibile sul piano penale, può la con­vinzione religiosa costituire un’eccezione per i membri di comunità che la praticano? Le decisioni in merito all’educazione dei figli, vista come dovere e, nello stesso tempo, diritto del genitore sono un fon­damento della libertà personale. Tale diritto può definirsi come “legge naturale” o inerente al diritto naturale. Anche in questo come in molti altri casi, gli esperti di bioetica, chiamati a costruire una po­litica biomedica, si scontrano nella società pluralista con la nozione non condivisa di bene migliore per il soggetto, in questo caso il bambino, ovvero di ciò che costituisce la soluzione migliore per il suo benessere. Infine, la preservazione della privacy nel rapporto medico-paziente assume, in questo frangente, una connotazione particolare in quanto la denuncia dell’abuso su minore da parte del medico ricevente la richiesta dei genitori lo può vedere, parados­salmente, nella veste di potenziale esecutore materiale dell’abuso o di accusatore di colleghi che abbiano praticato la circoncisione ri­tuale.

Se, infine, la circoncisione rituale, pur praticata da personale medico qualificato venisse dichiarata fuorilegge per l’insussistenza degli scopi medici e configurata come abuso di minore, quale scenario si aprirebbe davanti a noi? È difficile credere che centinaia di milioni di musulmani ed ebrei rinuncino all’improvviso ad un segno incon­fondibile di identità religiosa ed etnica solo perché è stato conside­rato illegale dalle norme di un diritto laico, spesso solo parzialmente riconosciuto da popolazioni provenienti da altre latitudini non solo geografiche. La circoncisione eseguita in clima di illegalità e clande­stinità porterebbe al diffondersi di pratiche non qualificate sul piano medico puntualmente sorte per coprire il difetto di offerta con esiti prevedibilmente non favorevoli nei migliori dei casi sulla salute del bambino. Impossibile non riandare con la memoria alle tragedie dell’aborto clandestino.

4.    Conclusioni

Ho ritenuto, parlando della circoncisione rituale praticata da mino­ranze etniche all’interno della società occidentale, di affrontare un tema che, sia pure molto specifico e a carattere in parte specialistico, ha il pregio di rappresentare la complessità della società attuale con istanze, diritti, fedi religiose e tradizioni contrapposte fra loro e con­ciliabili con difficoltà. Allo stesso tempo, tale terreno di confronto può diventare un “laboratorio multiculturale” dove i protagonisti sono tenuti ad esporre e difendere le proprie idee ma anche, e so­prattutto, ad ascoltare le ragioni degli altri.

L’intreccio su piani diversi e non necessariamente convergenti rap­presentato dalla circoncisione rituale praticata nella società occi­dentale è vasto e di difficile soluzione. La circoncisione rituale rap­presenta un tale retaggio culturale, sociale e religioso che è impen­sabile risolvere in modo definitivo e nell’arco di poco tempo. I nodi medici, legali e costituzionali inerenti alla circoncisione non tera­peutica sono molteplici ed attengono al nucleo più profondo della civiltà occidentale basato in modo prioritario ed assoluto sul rispetto dei diritti individuali e sulla garanzia della salute psico-fisica per ogni membro appartenente alla società. Tale rispetto si scontra con la volontà di appartenenza alla propria etnia e di tale appartenenza la circoncisione rappresenta un simbolo forte ed irrinunciabile.

In realtà, in tale controversia agiscono oltre che tradizioni, volontà di appartenenza etnica, culti religiosi con il loro quasi inevitabile carico di integralismo ma anche concezioni socio-politiche non solo diffe­renti ma diacroniche. Come sostiene Norberto Bobbio ne “Il futuro della democrazia”, la democrazia nasce da una concezione indivi­dualistica della società ovvero l’individuo sovrano che, in accordo con altri individui sovrani in egual misura, crea la società politica. La società in questo caso è il prodotto artificiale della volontà degli individui.

A tale concezione si oppone quella organica, già dominante nell’età antica e medioevale e in pratica vigente ad esempio nelle teocrazie islamiche secondo la quale il tutto è più importante delle parti e, pertanto, l’individuo è sottomesso alla teocrazia in un’inscindibile sovrapposizione fra religione e politica. In realtà, l’attuale forma di democrazia nelle società occidentali ha perso gran parte del suo contenuto originale basato sull’individuo e sulla sovranità popolare per dare sempre più peso e valore a gruppi di interesse, grandi or­ganizzazioni, associazioni, sindacati, partiti politici, organismi eccle­siastici che si pongono da intermediari sempre più forti tra l’individuo e il potere esercitato dai rappresentanti regolarmente eletti. Per questo motivo la nostra società si può definire pluralistica in quanto in realtà rappresentata non da individui singoli ma da gruppi di potere in concorrenza tra loro e relativamente autonomi dal governo centrale( v. N. Bobbio: “ Il futuro della democrazia”).

In questo tipo di società quindi pluralista, multietnica, multicultu­rale e caratterizzata da differenti confessioni religiose, si inserisce la controversia relativa alla circoncisione rituale praticata da alcune minoranze ma anche, ovviamente, a tutta una serie di tematiche ri­guardanti la famiglia, le tradizioni, la confessione religiosa, i diritti individuali, la deontologia medica. Legge, religione e medicina a confronto. È praticabile una via che garantisca istanze così diverse senza compromettere principi di democrazia e di deontologia me­dica? È perseguibile in questo caso un giusto mezzo, un atteggia­mento di saggezza e di prudenza per arrivare ad un approccio tem­perato al problema?

Le società occidentali, in modi e misure variabili, hanno da tempo adottato nei confronti delle minoranze etniche la politica del multi­culturalismo abbandonando l’assimilazione, retaggio quest’ultima di un atteggiamento colonialistico praticato però in questo caso all’interno del proprio paese. In questa accettazione più o meno con­sapevole del multiculturalismo rientra necessariamente una dose di relativismo culturale che ha consentito in qualche modo di guardare ad altre civiltà senza giudicarle secondo i propri parametri. Il relati­vismo culturale, all’inverso, dovrebbe anche consentirci di valutare criticamente le nostre leggi basate su concezioni morali occidentali e derivanti, in ultima analisi, da una prospettiva giudaico-cristiana. È possibile che individui nati in società non occidentali e cresciuti in climi culturali diversi dal nostro trovino la legislazione relativa al diritto naturale da cui nascono i diritti individuali alla vita, alla li­bertà e alla proprietà, incomprensibile e non adeguata alla propria sensibilità e al proprio originale assetto societario. In egual misura, l’adozione di un punto di vista relativista non deve significare la ri­nuncia alla verità solo perché è problematica ma condurci ad una ri­cerca della verità senza ritenere di esserne gli unici e definitivi depo­sitari.

Quando consideriamo la circoncisione eseguita per motivi religiosi , dobbiamo riconoscere i diritti di appartenenza delle persone ad una comunità e ad una confessione religiosa. Per tali motivi va ricono­sciuto anche il diritto alle persone di consentire l’ingresso dei propri figli in tale comunità. Tale riconoscimento avviene sulla base del di­ritto alla libertà di coscienza e di religione. La circoncisione rappre­senta però non solo un segno di appartenenza ad una convinzione religiosa ma una mutilazione genitale definitiva ed irreversibile. Il nodo rappresentato dal diritto dei genitori in base alla libertà di co­scienza e di religione a far circoncidere i propri figli è lungi dall’essere risolto.

Il diritto all’educazione dei figli può essere soggetto a limitazione se questo mette a rischio la salute o la sicurezza del bambino. La libertà di coscienza e religione può consentire, ad esempio, l’esenzione dal servizio militare in base alle proprie convinzioni morali e praticata con l’obiezione di coscienza. Più difficile pensare che l’obiezione di coscienza possa consentire la pratica della circoncisione non tera­peutica in quanto questa comporta un danno per un’altra persona. Come sottolineato da Margaret Somerville, “la legge è più propensa a consentire l’obiezione di coscienza per validare la mancata esecu­zione di qualcosa che la legge richiede essere fatta che giustificare un’azione che è proibita”.

Un altro aspetto importante nel rispetto della scelta religiosa consi­ste nell’evitare l’uso di metodi coercitivi e tentare prima di tutto il dialogo con i leader religiosi. Se è lecito sperare in un cambiamento, anche piccolo ma significativo in tale contesto, è possibile che esso avvenga all’interno della comunità religiosa più che essere imposto dall’esterno attraverso un intervento di natura legale. Nella stessa comunità ebraica mondiale vi sono ormai numerosi sostenitori a fa­vore di una cerimonia simbolica che sostituisca la tradizionale ma cruenta circoncisione rituale. Un’ulteriore possibilità, a mio avviso, potrebbe prevedere l’esecuzione della circoncisione rituale in ambito islamico al compimento del diciottesimo anno d’età allo scopo di ottenere il consenso informato direttamente dal paziente, a questo punto in grado di operare consapevolmente la scelta.

Infine, due aspetti tecnici, di specifica natura medica. La circonci­sione rituale, così come accade per la circoncisione preventiva statu­nitense, viene eseguita senza anestesia. I motivi per tale scelta sono stati oggetto di interpretazioni, la più diffusa delle quali attiene alla volontà di diminuire il piacere sessuale associandolo ad un’esperienza dolorosa, così come già sottolineato da Moses Mai­monide ne “La guida dei perplessi”. Molteplici studi hanno eviden­ziato in modo oggettivo il dolore avvertito dal neonato e dal bam­bino durante la procedura. Se la circoncisione rituale deve avvenire per irrinunciabili motivazioni religiose, che questo, almeno, avvenga senza dolore.

L’altro aspetto tecnico, di natura medico-legale, è la necessità di una legislazione specifica che tuteli l’agire medico in questi casi, si tratti di astensione o interventismo, in analogia a quanto avviene nell’ambito dell’interruzione di gravidanza. I contorni deontologici in questo campo non possono lasciare ombre o dare adito a polemi­che.

Se la democrazia deve essere oggi una “ società di comunità” volta ad accogliere identità diverse, lo sforzo politico deve essere rivolto più che verso la tolleranza verso il diritto di cittadinanza per tutti, verso un atteggiamento sperimentale del proprio agire ovvero la politica democratica come prassi sempre rivedibile, come esercizio di democrazia critica. Ma, soprattutto, si deve accettare la gradualità dei rinnovamenti, quando essi riguardino sensibilità così lontane dalle nostre e vedere nelle rivoluzioni silenziose, nei piccoli ed ap­parentemente inconsapevoli cambiamenti nelle menti degli indivi­dui il vero motore delle trasformazioni.

Infine, se vi può e vi deve essere un richiamo ad un valore davvero universale e transconfessionale che accomuni tutti gli uomini ad uno stesso destino, questo non può essere che il valore della fratellanza, la fraternité della rivoluzione francese, come ricorda Norberto Bob­bio nella sua opera già citata.

“È davvero (la circoncisione non terapeutica) un’importante area di etica individuale e sociale che attraversa millenni dell’esistenza umana. Abbiamo imparato molto su di essa e abbiamo bisogno di imparare ancora[1]”.

 



[1]     Margaret A. Somerville, “A chapter from: The Ethical Canary: Science, Society and the Human Spirit”, chapter 8, pp. 202-219.




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